Identificato un nuovo modulatore di affetti negativi in FGF9

 

 

NICOLE CARDON

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIII – 19 settembre 2015.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Anche se si cominciano a conoscere  le basi neurali della depressione da stress e di varie sindromi ansioso-depressive in termini di sistemi neuronici, i meccanismi molecolari che mediano le emozioni negative e contribuiscono alla depressione maggiore sono ancora in massima parte sconosciuti. Ora, un nuovo studio condotto da Elyse L. Aurbach con Huda Akil ed altri tredici collaboratori, identifica il fattore di crescita del fibroblasto 9 (FGF9, fibroblast growth factor 9) quale mediatore chiave di questi stati di alterata funzione psichica con modificazione dell’affettività e del tono dell’umore.

Questo articolo presenta la prima descrizione della funzione dell’FGF9 ippocampale e costituisce la prima evidenza sperimentale al mondo di un ruolo di questa molecola negli affetti negativi.

I ricercatori hanno studiato il trascrittoma (whole-transcriptome studies) di tessuto cerebrale umano postmortem, dimostrando che FGF9 è elevato nella depressione. Hanno poi verificato, mediante studi animali di traduzione inversa, che sia la molecola endogena che quella esogena sono in grado di indurre comportamenti ritenuti equivalenti, secondo gli standard sperimentali attuali, degli stati ansiosi e depressivi umani.

La prosecuzione degli esperimenti ha confermato questi dati, ha fornito altre evidenze e consentito ai ricercatori di sviluppare un’ipotesi molto interessante (Aurbach E. L., et al., Fibroblast growth factor 9 is a novel modulator of negative affect. Proceedings of the National Academy of Sciences USA – Epub ahead of print doi:10.1073/pnas.1510456112, 2015).

La provenienza degli autori è la seguente: Molecular and Behavioral Neuroscience Institute & Neuroscience Graduate Program, University of Michigan, Ann Arbor, MI (USA); Department of Psychiatry, Cornell University, New York, NY (USA); Department of Psychiatry, Stanford University, Stanford, CA (USA); Department of Psychiatry and Human Behavior, University of California at Irvine, CA (USA); HudsonAlpha Institute for Biotechnology, Huntsville, AL (USA).

Per facilitare la comprensione del valore di questo studio anche da parte del lettore non specialista, si fornisce qualche nozione introduttiva sui fattori di crescita.

I Growth Factors (GF) o fattori di crescita sono proteine che regolano molti aspetti della vita cellulare, quali la sopravvivenza, la proliferazione, la migrazione e la differenziazione. Nelle cellule diverse dai neuroni, i fattori di crescita stimolano la proliferazione, ma ciò non può accadere con le cellule nervose mature, che sono elementi post-mitotici o perenni non in grado di rientrare nel ciclo cellulare. Per tale ragione, quando queste molecole sono considerate nel contesto del sistema nervoso, spesso sono denominate fattori neurotrofici. È stato dimostrato che i fattori di crescita hanno un ruolo cruciale per un corretto sviluppo del sistema nervoso, fin dai primi stadi dell’embriogenesi. Tali fattori determinano il destino delle cellule quando queste si differenziano dallo stadio di progenitori lungo le linee nervose e gliali. Inoltre, durante lo sviluppo embrionale, sono di fondamentale importanza per la regolazione della sopravvivenza dei neuroni, determinando il destino della cellula e stabilendo un’appropriata connettività.

Come è noto, Rita Levi-Montalcini identificò il primo fattore di crescita (nerve growth factor o NGF), oggi classificato tra le neurotrofine, grazie ad un lungo e complesso lavoro che le valse il conferimento del Premio Nobel per la Fisiologia o la Medicina, condiviso con Stanley Cohen, nel 1986. Inizialmente, si riconobbe l’importanza essenziale delle molecole di NGF per la sopravvivenza e la crescita dendritica in neuroni gangliari del sistema simpatico e in una sottopopolazione di neuroni sensoriali[1]. La Montalcini e i suoi collaboratori osservarono che, durante un periodo critico dello sviluppo, il tessuto-bersaglio dei neuroni secerne quantità limitate di NGF che inducono competizione fra le cellule nervose: i neuroni vincenti sopravvivono e formano connessioni sinaptiche stabili; quelli perdenti vanno incontro a morte cellulare e sono eliminati. Ma i bersagli non sono l’unica fonte di NGF che, insieme con numerose altre molecole importanti per la sopravvivenza e la differenziazione, è fornito da cellule gliali, quali astrociti, oligodendrociti e microglia nel sistema nervoso centrale e cellule di Schwann nel sistema nervoso periferico. In realtà, oggi si ritiene che la fonte principale dei fattori neurotrofici sia costituita dalle cellule gliali, in special modo durante lo sviluppo, quando gli assoni in espansione non hanno ancora raggiunto i loro bersagli sinaptici. Dopo l’NGF, all’inizio degli anni ’80, fu scoperto un secondo fattore di crescita o neurotrofico, direttamente estratto dal cervello: il BDNF (brain-derived neurotrophic factor). L’alto grado di similarità genetica di BDNF e NGF suggerì la loro appartenenza ad una famiglia genetica di neurotrofine, della quale furono presto scoperti altri due membri: NT3 e NT4.

Sono molti attualmente i fattori di crescita noti che agiscono nel cervello, anche fra quelli originariamente identificati in altri sistemi, e si assiste allo sviluppo di una gamma in continua espansione di interazioni fra fattori di crescita e popolazioni cellulari all’interno del sistema nervoso, sia durante la vita intrauterina sia nell’età adulta. Fra le principali famiglie di fattori neurotrofici agenti nel sistema nervoso si studiano: le neurotrofine, le neurochine, i fattori di crescita del fibroblasto, la superfamiglia TGFβ, i fattori neurotrofici derivati dalla glia, la superfamiglia dei fattori di crescita epidermici, il gruppo misto di fattori di crescita eterogenei.

L’FGF9 (denominato anche: FGF-9, GAF, SYNS3, HBFG-9, HBGF-9) è un membro della famiglia dei fattori di crescita del fibroblasto (FGF), che possiede estese attività mitogene e di sopravvivenza cellulare, ed è implicata in una varietà di processi biologici, quali lo sviluppo embrionario, la crescita cellulare, la morfogenesi, la riparazione dei tessuti danneggiati, la crescita tumorale e l’invasione dei tessuti circostanti. La proteina FGF9 fu isolata come un fattore secreto che presentava un rilevante effetto di stimolo della crescita su cellule gliali in coltura.

Nel sistema nervoso, questa proteina è prodotta principalmente dai neuroni e si ritiene sia importante per lo sviluppo delle cellule gliali. L’espressione dell’omologo murino del gene di FGF9 è risultata essere dipendente dalla segnalazione di Sonic hedgehog (Shh). Topi mancanti del gene omologo mostrano un fenotipo sessuale di inversione maschio-femmina, che ha suggerito un ruolo nell’embriogenesi testicolare.

Tornando al lavoro di Aurbach e i suoi numerosi colleghi, sia lo studio del profilo di espressione genica di tessuto cerebrale prelevato da cadaveri, sia la sperimentazione mediante modelli animali, hanno implicato la famiglia FGF nella regolazione dell’affettività e suggerito un potenziale ruolo nella fisiopatologia del disturbo depressivo maggiore (MDD, da major depressive disorder).

FGF2, la molecola più ampiamente caratterizzata come membro della famiglia FGF, è regolata verso il basso nel cervello delle persone affette da depressione. Coerentemente con questo dato, Aurbach e colleghi hanno rilevato che questa proteina gioca un ruolo protettivo nel cervello di roditori che costituiscono modelli sperimentali dei disturbi dell’affettività. Per contro, usando tre analisi mediante microarray seguite da conferma RT-PCR quantitativa, i ricercatori hanno accertato e mostrato che l’espressione di FGF9 è accresciuta (up-regulated) nei neuroni dell’ippocampo di individui che erano affetti fino al momento del decesso da MDD e, inoltre, che l’espressione di FGF9 presentava una correlazione inversa con quella di FGF2.

Poiché poco, se non assolutamente nulla, si sa della funzione di FGF9 nella regolazione delle emozioni e delle risposte affettive, i ricercatori hanno pensato bene di impiegare modelli animali per cercare di ottenere elementi in qualche modo significativi circa un potenziale ruolo di questa proteina nelle funzioni cerebrali alla base dell’affettività dei mammiferi.

A tale scopo è stato impiegato un modello murino ritenuto molto attendibile e sensibile nel rilevare gli effetti negativi dell’esperienza sull’affettività: il chronic social defeat stress model. Tale modello sperimentale riassume, in forma comparata, alcuni aspetti salienti delle modificazioni funzionali corrispondenti ai sintomi del disturbo MDD umano. Lo stress cronico indotto nel modello determinava un significative incremento dell’espressione di FGF9 ippocampale simile a quella osservata nei neuroni dei preparati di ippocampo prelevati post-mortem da pazienti cronicamente depressi. Sono stati allora eseguiti esperimenti di infusione cronica cerebrale intraventricolare di FGF9 per verificarne gli effetti: si produceva lo sviluppo di comportamenti riportabili allo standard dell’ansia e della depressione murina. Allora, Aurbach e colleghi, usando un vettore lentivirale, hanno determinato il knock down dell’espressione genica di FGF9 nel giro dentato dell’ippocampo, determinando un netto decremento della proteina associato ad un altrettanto evidente miglioramento nella sintomatologia ansiosa e depressiva negli animali da esperimento.

Nell’insieme, tutti i risultati emersi in questo studio, indicano che alti livelli di FGF9 ippocampale giocano un ruolo importante nello sviluppo e nell’espressione di disturbi d’ansia e dell’umore. Se tali esiti saranno confermati, FGF9 potrà diventare un nuovo obiettivo della ricerca psicofarmacologica.

Esaminando nel dettaglio la sperimentazione e riflettendo sulle evidenze che propone, si deduce che FGF9 ed FGF2 agiscono in opposizione funzionale reciproca. Una tale possibilità ha suggerito agli autori dello studio l’ipotesi che l’equilibrio fra i vari membri della famiglia FGF sia alla base della regolazione funzionale dell’umore e dell’affettività e che, pertanto, lo studio clinico di queste molecole potrebbe rivelare uno stato di predisposizione o di resistenza allo sviluppo di sindromi psicopatologiche derivate da attivazione dei sistemi neuronici dello stress e implicanti squilibri umorali e sofferenza affettivo-emotiva.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Nicole Cardon

BM&L-19 settembre 2015

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Cfr: Levi-Montalcini R. & Angeletti P. U., Essential role of the nerve growth factor in the survival and maintenance of dissociated sensory and sympathetic embryonic nerve cells in vitro. Developmental Biology 7, 653-659, 1963; Levi-Montalcini R. & Angeletti P. U., Nerve growth factor. Physiological Reviews 48, 534-568, 1968.